La Cassazione scende in difesa dei lavoratori. Con due sentenze, depositate ieri dalla sezione lavoro e dalla sesta penale, la corte afferma due principi di diritto a tutela del lavoro dipendente. I giudici della sezione lavoro, con la decisione 25859, stabiliscono che lo scambio di prestazioni domestiche fornite da una straniera estranea alla famiglia, in cambio di vitto alloggio e una seppur modesta retribuzione, configura un rapporto di lavoro subordinato con tutti i diritti che ne conseguono. Dalla parte del più “debole” anche la sesta sezione penale (sentenza 44803) che ha bollato come violenza privata continuata i maltrattamenti imposti dal capo-officina a un meccanico.

Con la prima sentenza il collegio di piazza Cavour accoglie il ricorso che un’immigrata aveva fatto verso una coppia, per il riconoscimento del Tfr e di altre indennità economiche derivanti da un rapporto di lavoro subordinato in corso dal 1993 al 1998. Sia il tribunale sia la Corte d’appello avevano respinto l’istanza della colf accogliendo invece la posizione dei datori di lavoro, che sostenevano di aver preso la donna in famiglia per motivi umanitari e di averle offerto ospitalità e un contributo di 400mila lire al mese in cambio di un aiuto in casa.

La Cassazione si discosta dalle conclusioni dei giudici di merito, ritenendo che tra le parti non sia configurabile un rapporto di lavoro cosiddetto alla pari, come regolato dalla legge 304 del 1973. Secondo il Supremo collegio le prestazioni fornite dall’immigrata erano quelle tipiche del lavoro domestico.

La seconda lancia la Cassazione la spezza in favore di un meccanico vessato dal suo capo-officina. Il collegio di piazza Cavour, pur escludendo il reato di violenza in famiglia (ormai esteso dal nuovo codice anche ai rapporti di lavoro) e quello di mobbing, almeno nei termini che erano stati prospettati dall’accusa, decide per una condanna per violenza privata continuata. Secondo la Cassazione mancava lo stato di particolare soggezione morale e psicologica, richiesto dall’articolo 572 del Codice penale che sanziona la violenza in ambito familiare. Allo stesso modo la corte nega anche che siano state dimostrate le circostanze tipiche del mobbing. Tuttavia i giudici non lasciano impunito un comportamento «moralmente violento e psicologicamente minaccioso» e ritengono il capo-officina colpevole di un altro illecito con rilevanza penale, e cioè la violenza privata continuata. Il meccanico – secondo i giudici – era oggetto di un trattamento che provocava il «deprezzamento delle sue qualità lavorative nel contesto di una condotta articolata in più atti consequenziali a un medesimo disegno criminoso». Con l’aggravant e della commissione dell’illecito con abuso delle prestazioni lavorative.

Fonte: ilsole24ore.com