PARERE N.  5  DEL 2 marzo 2011

IL QUESITO
Si chiede se nell’ipotesi di compensazione tra crediti del lavoratore e crediti del datore di lavoro si
applica o no il limite del quinto dello stipendio
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A norma dell’art. 1241 c.c. “Quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si
estinguono per le quantità corrispondenti…”. Il successivo art. 1246 c.c., in combinato disposto con
l’art. 545 c.p.c., prevede, tuttavia, che le somme impignorabili derivanti da stipendio, salario, o
altre indennità relative al rapporto di lavoro,  possono essere compensate nei limiti di un
quinto.
Tuttavia, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale,  l’istituto della compensazione e la relativa normativa codicistica – ivi compreso l’art. 1246 cod. civ. sui limiti della compensabilità tra i crediti – presuppongono l’autonomia dei singoli rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, e non operano quando essi nascano dal medesimo rapporto obbligatorio.
Nel caso di crediti e debiti contrapposti aventi tutti origine da un unico rapporto giuridico (nel caso di specie, il rapporto di lavoro), si realizza, infatti, un mero accertamento contabile di dare/avere (c.d.  compensazione “in senso improprio”  o “atecnico”), con elisione automatica dei relativi crediti fino alla reciproca concorrenza, al quale restano inapplicabili i limiti previsti per la compensazione (nel nostro caso, il limite del quinto), che attiene esclusivamente a crediti derivanti da rapporti diversi (Cass. civ. Sez. III Sent., 8 agosto 2007, n. 17390, in Obbl. e Contr., 2008, 7).
In tal senso, è stato dichiarato  pienamente compensabile il credito retributivo del lavoratore con il credito risarcitorio vantato del datore di lavoro, a cui il dipendente aveva arrecato un danno a seguito dell’esecuzione non diligente della prestazione lavorativa (Cass. 20 giugno 2003, n. 9904, in Riv. It. Dir. Lav., 2004, II, 78; Cass.19 marzo 2001, n. 3930, in Mass. Giur. It., 2001; Cass. 5 maggio 1995, n. 4873, in Mass. Giur. Lav., 1995, 731; Corte Costituzionale, Sent. 4 luglio 2006, n. 259, in Sito uff. Corte cost., 2006).
La compensazione può riguardare anche il trattamento di fine rapporto maturato dal lavoratore, in quanto il rapporto giuridico previdenziale non  costituisce un titolo obbligatorio distinto dal rapporto di lavoro (Cass. 25 novembre 2002, n. 16561, in Contratti, 2003, 5, 478; Cass. 23 gennaio 1999, n. 648 in  Contratti, 1999, 5, 501).  Peraltro, la giurisprudenza ammette la possibilità di una  deroga pattizia  al principio della compensazione “atecnica”, sicché l’autonomia contrattuale individuale e collettiva può stabilire che l’operatività e l’efficacia di tale forma di reciproca estinzione dei crediti contrapposti siano subordinate alla specifica stipula di accordi negoziali (Cass. 21 ottobre 1998 n. 10456, in Mass. Giur. It., 1998; Cass. 4 luglio 1997, n. 6033, in Mass. Giur. It., 1997).
La giurisprudenza ha, infine, chiarito che nell’opera di compensazione impropria, gli interessi e la rivalutazione monetaria ai sensi dell’art. 429, comma 3, c.p.c., in favore del lavoratore si calcolino solo sull’eventuale credito residuo evidenziato dal risultato di tale accertamento contabile (Cass. 1° settembre 1982, n. 4765, in Gius. Civ., 1983, I, 480).
Si segnala, infine, che al succitato orientamento giurisprudenziale se ne contrappone un altro minoritario di segno nettamente opposto, secondo il quale si ritiene applicabile la normativa sulla compensazione in senso tecnico, ivi compreso il limite del quinto al credito del lavoratore che derivi da “stipendio, salario, o altre indennità relative al rapporto di lavoro” (Cass. 11 marzo 2005, n. 5349, Notiz. giur. lav., 2005, 525; Cass. 10 giugno 2005, n. 12327, Giust. civ., 2006, I, 867).