L’Inps, con la circolare n. 79 del 28 aprile 2017, fornisce una serie di informazioni relativamente agli obblighi, per il lavoratore ed il datore di lavoro, in caso di riduzione del periodo di prognosi riportato nel certificato attestante la temporanea incapacità lavorativa per malattia.

Nel caso di una guarigione anticipata, il lavoratore è tenuto a richiedere una rettifica del certificato in corso, al fine di documentare correttamente il periodo di incapacità temporanea al lavoro.

Obblighi del lavoratore e del datore di lavoro

La rettifica della data di fine prognosi, a fronte di una guarigione anticipata, rappresenta un adempimento obbligatorio da parte del lavoratore, sia nei confronti del datore di lavoro, ai fini della ripresa anticipata dell’attività lavorativa, sia nei confronti dell’Inps, considerato che, mediante la presentazione del certificato di malattia, viene avviata l’istruttoria per il riconoscimento della prestazione previdenziale senza necessità di presentare alcuna specifica domanda. Il certificato, pertanto, per i lavoratori cui è garantita la tutela in argomento, assume, di fatto, il valore di domanda di prestazione.

Sotto il primo profilo, è da ritenersi che, in presenza di un certificato con prognosi ancora in corso, il datore di lavoro non possa consentire al lavoratore la ripresa dell’attività lavorativa ai sensi della normativa sulla salute e sicurezza dei posti di lavoro. L’art. 2087 del codice civile, come noto, infatti, impegna il datore di lavoro ad adottare tutte le misure  necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro e l’art. 20 del D.lgs. n. 81/2008 obbliga il lavoratore a prendersi cura della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro.

Ne consegue che il dipendente assente per malattia che, considerandosi guarito, intenda riprendere anticipatamente il lavoro rispetto alla prognosi formulata dal proprio medico curante potrà essere riammesso in servizio solo in presenza di un certificato medico di rettifica della prognosi originariamente indicata.

Per quanto concerne, invece, l’obbligo del lavoratore nei confronti dell’Inps, si evidenzia che lo stesso è tenuto a garantire la massima collaborazione e correttezza verso l’Istituto nei confronti del quale, con la presentazione del certificato di malattia – anche se avvenuta mediante la modalità della trasmissione telematica da parte del proprio medico curante – ha inteso instaurare uno specifico rapporto di natura previdenziale con conseguente possibile erogazione – in presenza di tutti i requisiti normativamente previsti – della relativa indennità economica.

Il lavoratore è, quindi, tenuto a comunicare, mediante la rettifica del certificato telematico, il venir meno della condizione morbosa di cui al rischio assicurato, presupposto della richiesta di prestazione economica all’Istituto.

Affinché  la rettifica venga considerata tempestiva, non è sufficiente che essa sia effettuata prima del termine della prognosi originariamente certificata, bensì è necessario che intervenga prima della ripresa anticipata dell’attività lavorativa. Essa va richiesta al medesimo medico che ha redatto il certificato, riportante una prognosi più lunga.

Anche nel caso in cui il medico si trovi nella condizione di dover utilizzare il servizio alternativo di Contact Center per la presentazione dei certificati di malattia on line, previsto dal disciplinare tecnico del decreto ministeriale citato in premessa, ciò dovrà esser fatto tempestivamente e prima del rientro anticipato al lavoro del soggetto.

Provvedimenti sanzionatori

Succede non di rado che a seguito dell’effettuazione di visita medica di controllo domiciliare disposta d’ufficio, l’Istituto venga a conoscenza del fatto che un lavoratore abbia ripreso l’attività lavorativa prima della data di fine prognosi contenuta nel certificato di malattia, senza aver provveduto a far rettificare la suddetta data, a fronte ovviamente di un datore di lavoro consenziente.

Il suddetto comportamento da parte del lavoratore e dell’azienda crea evidenti difficoltà all’Inps, evidenziandosi un disallineamento tra la durata effettiva dell’evento e la certificazione prodotta. Il mancato tempestivo aggiornamento della prognosi, inoltre,  può indurre l’Istituto, in prima battuta, a ritenere che l’evento di malattia sia ancora in corso e, quindi, ad effettuare conseguentemente valutazioni di competenza non appropriate (inviando, ad esempio, inopportuni controlli domiciliari con derivanti oneri a carico dell’Istituto stesso).

Nei casi di lavoratori aventi diritto al pagamento diretto della prestazione, emerge anche il rischio di erogazione di prestazioni non dovute, con conseguente necessità, per l’Istituto, di attivarsi per il recupero della quota non dovuta di prestazione.

In considerazione di quanto sino ad ora esposto e tenuto conto della necessità di garantire che i dati forniti all’Istituto mediante i diversi flussi certificativi (e quindi anche quelli delle certificazioni di malattia) siano tempestivamente aggiornati e veritieri, nei casi in cui  emerga, a seguito di assenza a visita di controllo domiciliare e/o ambulatoriale, la mancata o tardiva comunicazione della ripresa anticipata dell’attività lavorativa, verranno applicate, nei confronti del lavoratore, le sanzioni già previste per i casi di assenza ingiustificata a visita di controllo, nella misura normativamente stabilita per tali fattispecie.

L’Istituto, infine, precisa al riguardo che la sanzione sarà comminata al massimo fino al giorno precedente la ripresa dell’attività lavorativa, considerando tale ripresa come una dichiarazione “di fatto” della fine prognosi (avvenuta nella giornata immediatamente precedente) dell’evento certificato.

Il lavoratore, che si trovi nelle ipotesi sopra descritte e che, non trovato al domicilio di reperibilità, venga invitato a visita ambulatoriale, dovrà, comunque, produrre una dichiarazione attestante la ripresa dell’attività lavorativa.

Fonte: INPS

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